L’uomo ha da sempre desiderato osservare la bellezza di Dio, il calore di un suo corpo, la
seducente armonia di un suo volto, le variegate sfumature dei suoi colori, identificando in sé stesso la sua natura. L’antropomorfismo fisico di Dio è una caratteristica del mondo antico, ed anche nella religione dei miei padri, quella della Chiesa cattolico-romana, avviene lo stesso principio, sebbene si parli di incarnazione. L’incarnazione di Gesù Cristo, dopotutto, è una sorta di antropomorfismo, laddove Cristo in quanto figlio di Dio «generato non creato della stessa sostanza del Padre» (Credo, professione di fese), possiede le fattezze dell’uomo, per l’appunto quella sostanza che Dio creò quando fece l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gensei1). Pertanto, il verbo incarnare allude chiaramente alla rappresentazione di un essere umano quale immagine di Dio, nella carne, nel corpo, nella moltitudine variopinta dei suoi colori. È proprio di quei colori che mi sono occupato, quei colori che viviamo costantemente nel nostro quotidiano, e proprio di quelli mi sono lasciato permeare per ritrovare i colori di Gesù Cristo.
Il mio punto di partenza è stato la visione di Dio attraverso gli occhi di un uomo: Giuda Iscariota. Quante volte siamo noi stessi Giuda, quante volte nella nostra vita abbiamo gli stessi dubbi di Giuda. La narrazione della vicenda della passione di Cristo dalla prospettiva originale del punto di vista di Giuda, rappresenta il conflitto umano e ideologico tra l’uomo e Dio. Tale prospettiva è stata trattata mirabilmente attraverso la lente musicale dell’opera rock del compositore Lloyd Webber con testi di Tim Rice, Jesus Christ Superstar, la quale si ispira alle vicende dell’ultima settimana della vita di Gesù (l’ingresso a Gerusalemme, il processo, la condanna a morte e la crocifissione), ovviamente vista dagli occhi di Giuda.
Certamente sulla mia visione ha contribuito moltissimo l’omonimo film del 1973 di Norman Jewison, il quale ha trasportato al cinema il musical di Webber.
Dal medium del cinema ho raccolto idee per trasferire sul piano pittorico un gioco di colori e di ritmi fatto di screziature e monocrome sensazioni di divino. Nella stesura e organizzazione dei colori richiamo il senso del colore kandischiano per la ricerca degli equilibri e dell’armonia.
Ogni opera è una parte del tutto, ogni tela nasce da uno status emotivo riferito alla storia del racconto evangelico, rivisitato e attualizzato dai testi di Tim Rice. Jesus Christ Superstar rappresenta quel cristianesimo laico nella visione prospettica di Giuda, scandito dai ritmi della musica rock, interpretando con modernità le istanze della società attuale: nello stesso modo ho trasferito sulle tele bianche i colori dell’oggi tramite pennellate laceranti. Ho tradotto nelle mie composizioni, con specifici riferimenti iconografici del film, i ritmi musicali della musica di Webber, amplificando le emozioni della storia dell’uomo Gesù in una visione pittorica multicolor. Le forme hanno avuto un valore relativo se rapportate alla valenza predominante di segni e colori: il racconto delle emozioni non ha potuto fare a meno di sfumature, di segni e di campiture, seguendo le sollecitazioni culturali di Kandinsky.
Così facendo, le mie opere hanno “vibrato” di vita propria, hanno “suonato” con assonanze e dissonanze generando campiture molteplici dei colori della vita; così ho inteso in primis emozionare, successivamente far riflettere, poi, pensare, innescando nell’occhio e nella mente del fruitore un concerto di sensazioni che fanno del Gesù incarnato il Dio uomo.
Leonildo Bocchino
Io l’ho suonato
“Nel 1999 suonavo in una rock band e ci venne dato uno spazio, all’interno di una manifestazione
artistica, che riuniva arti visuali e musica.
Dovevamo esibirci su di un palco nell’orario di punta della serata.
Condividemmo il palco con altre band anche di generi diversi tra loro e il nostro timing fu fissato in
quindici minuti di esibizione.
Al tempo con i Metem ci esibivamo solitamente con un repertorio composto da cover e brani originali
ma nell’occasione, visto il tempo a disposizione, il contesto e la location, decidemmo di preparare
qualcosa ad hoc e dal profilo più in linea con la missione della manifestazione artistica.
Optammo per creare una performance basata esclusivamente sulle musiche del Jesus Christ Superstar
di Webber e Rice. Quindici minuti senza interruzione in un crescendo che metteva insieme Overture
dell’opera e il brano chiave (Gethsemane / I Only Want to Say).
Fu un momento molto intenso per noi e per chi in piazza era ad ascoltarci.
Le musiche di Webber sono un’esperienza immersiva per un musicista, dal punto di vista tecnico
anche una sfida per via della particolarità di unire una matrice ritmica pari/dispari alla scansione
del tempo musicale.
Ma la cosa che non avevamo proprio messo in conto, fu la straordinaria capacità che hanno le
musiche dell’opera rock di farti “respirare” suonandole l’atmosfera rivoluzionaria, innovativa e di
tensione che la vita ed il messaggio del Jesus hanno portato nella storia dell’umanità.
Rispetto all’insegnamento trasmesso dai vangeli, nelle musiche di Webber e nei testi di Rice si fa
esperienza di un Jesus completamente immerso nella dimensione umana con tutti i suoi patimenti, le
contraddizioni, i dubbi, le difficoltà e le conseguenze di portare a termine una missione troppo grande
per qualsiasi essere umano.
Questa tensione, questa sofferenza emerge già all’ascolto dell’opera ma a suonarla è tutta un’altra
cosa. Ti scava dentro e ti restituisce un’esperienza per certi versi anche mistica, cosa che non deve
sorprendere più di tanto in quanto il contesto storico in cui l’opera fu scritta è stato di grande
rivoluzione e sperimentazione per la cultura tutta che ancora riecheggia nel tempo presente.
Ogni volta che mi capita di ascoltare un brano del Jesus Christ Superstar, emerge dalla coscienza
una frase appena sussurrata: “io l’ho suonato”. Cosa che non mi accade con le altre quasi 100
cover suonate nell’arco di 20 anni.”
A distanza di tanto tempo ho provato di nuovo alcune di quelle sensazioni assistendo
alla nascita dell’opera pittorica di Leonildo dedicata al Musical.
Un lavoro impegnativo che ho avuto la fortuna di vedere svolgersi, giorno dopo
giorno, nell’arco di quasi un anno.
Nella sua pittura tornano i motivi ritmici di cui accennavo sopra; solo che la tensione,
la passione, il messaggio, questa volta è affidato alle linee e ai colori alle volte violenti,
alle volte delicati, alle volte freddi direi quasi lividi, vedi la sua interpretazione
pittorica dei Farisei, e alle volte ricchi di speranza e rassegnazione insieme.
Ogni tela in cui è raffigurato un passaggio del Musical è nello stesso tempo una parte
e il tutto del messaggio complessivo dell’Opera.
Suonare il Jesus Christ Superstar è un’operazione complessa ma che restituisce
emozioni semplici nella loro lettura;
allo stesso modo, guardare il ritmo dei colori nelle tele di Leonildo restituisce una
complessità di sensazioni che, per lo spettatore, però, sono di facile lettura.
Pasquale Bosco, bassista dei Metem
Vieni a trovarmi presso lo Studio d'Arte a San Giorgio del Sannio. Solitamente mi trovi impegnato tra tele e colori ma non ho un orario definito e quindi ti chiedo di contattarmi per fissare un incontro.